
- Titolo Libro Recensito -
SUL DISEGNARE
“Una raccolta di scritti di John Berger (pittore, critico d’arte, giornalista) con interessanti riflessioni sull’attività del disegnare.”



♦ CATEGORIA: Saggio
♦ AUTORE: John Berger
♦ TITOLO: Sul Disegnare
♦ SOTTOTITOLO: \
♦ CASA EDITRICE: il Saggiatore
♦ ANNO EDIZIONE: 2017
♦ TIPO COPERTINA: brossura (morbida)
♦ FORMATO: 13.5 x 19,0 cm
♦ NUMERO PAG: 186
♦ ILLUSTRAZIONI: SI (B/N)
♦ PREZZO: 18,0 €

Disegnare…chissà quanti di voi si dedicano a questa attività sia in modo amatoriale che professionale.
Mi è capitato di avere il tempo (succede raramente) durante un soggiorno presso i miei genitori di leggere questo snello libro di John Berger (1926-2017), giornalista, pittore, critico d’arte, dedicato al tema del disegnare e di trovarlo ricco di spunti interessanti.
Si tratta di una raccolta di brevi scritti ove il defunto autore riflette su svariate tematiche legate all’atto del disegnare, forse la più profonda tra tutte le attività umane che ha origini antichissime, risalendo ai primi esseri umani delle caverne. Come giustamente riportato nella breve introduzione, il disegnare costituisce un atto di conoscenza, un interrogare il mondo visibile ed esaminare la struttura delle apparenze per dare forma alle idee e comunicarle, per esorcizzare la memoria.
Mi sono chiesto anche io cosa significhi per me l’atto del disegnare ma non credo di avere una risposta chiara ed esaustiva perché è un tema sfuggente. Sicuramente, almeno negli ultimi anni, è stato soprattutto un tentativo di dare vita a composizioni di mia invenzione in modo da avere una traccia da seguire nella fase successiva della pittura ad olio ma in modo anche da verificare in maniera preventiva se l’idea potesse funzionare. Quindi ultimamente per me disegnare è realizzare degli studi preparatori. Con riferimento all’estratto che ho riportato sotto dove John Berger individua tre principali categorie di disegno, i miei modesti studi rientrano nella seconda categoria, dove quello che “è già nell’occhio della mente” viene portato fuori sul foglio.
“ Ci sono quelli che studiano e interrogano il visibile, quelli che annotano e comunicano idee, e quelli fatti a memoria. […] Nel primo tipo di disegno le linee sul foglio sono tracce lasciate dallo sguardo dell’artista, che incessantemente parte, si mette in viaggio, interroga la singolarità, l’enigma di ciò che ha davanti agli occhi, […] Il totale delle linee sul foglio racconta una sorta di migrazione ottica grazie alla quale l’artista, seguendo il proprio sguardo, sceglie la persona, l’albero, l’animale o la montagna che disegnerà. E se il disegno riesce egli rimarrà lì per sempre. […]
Nella seconda categoria di disegni, il traffico, il trasporto, va nella direzione opposta. Adesso si tratta di portare al foglio quello che è già nell’occhio della mente. Consegna, più che migrazione. Spesso tali disegni erano abbozzi o disegni preparatori per dipinti. Essi riuniscono, sistemano, allestiscono una scena. Poiché il visibile non viene direttamente interpellato, sono molto più dipendenti dal linguaggio visivo dominante nella loro epoca, sicché solitamente sono più databili nella loro essenza […] Piuttosto, osserviamo da una finestra la capacità di un uomo di sognare, di costruire un mondo alternativo e immaginario. Di solito è esiguo: conseguenza diretta di imitazione, falso virtuosismo, manierismo. Nonostante la loro mediocrità, disegni come questi possiedono un interesse artigianale […] ma non ci parlano direttamente. Affinché ciò accada lo spazio creato all’interno del disegno deve apparire vasto come la terra ed il cielo. E’ allora che riusciamo a percepire il respiro della vita. […]
E poi ci sono i disegni fatti a memoria. Molti sono appunti presi in fretta per farne uso in un secondo tempo […] Tuttavia, i disegni più importanti di questa categoria sono fatti per esorcizzare un ricordo che tormenta […]
Un disegno, a qualunque di queste tre categorie appartenga, quando è sufficientemente ispirato, quando diventa miracoloso, acquista un’altra dimensione temporale. Il miracolo ha inizio con il fatto fondamentale che i disegni, a differenza dei dipinti sono di solito monocromi […]
I dipinti, con i loro colori, le loro tonalità, la luce, l’ombra diffuse, competono con la natura. Cercano di sedurre il visibile, di adescare la scena dipinta. I disegni non possono. Il loro valore deriva dal fatto che sono diagrammatici. Sono semplici annotazioni su carta. […]
La carta diventa quel che vediamo attraverso le linee, e tuttavia rimane sé stessa […] Fra una riga e l’altra la carta si presta a diventare albero, pietra, erba, acqua, muratura, montagna calcarea, nube. Tuttavia, è impossibile confonderla anche per un solo istante con la sostanza di una qualsiasi di queste cose, poiché resta palesemente ed enfaticamente un foglio di carta sul quale sono state tracciate delle linee sottili. […]
Realtà e progetto diventano inseparabili. Ci si trova alle soglie della creazione del mondo. Poiché impiegano il futuro, simili disegni prevedono. Per sempre. “
Un passaggio molto interessante dell’estratto di cui sopra è quello per cui i disegni non hanno la possibilità di sedurre il visibile, in genere sono monocromi e quindi non dispongono delle armi del colore, della luce per ingannare l’occhio e simulare in modo migliore gli oggetti del reale arrivando a farli sembrare più che realistici, sono semplici insiemi di segni a volte molto sintetici, sono “diagrammatici”, hanno la possibilità (come spiegato nell’estratto successivo tratto da uno scritto dedicato alla morte del padre ed all’effettuazione del ritratto del suo volto da morto) di “ingannare il tempo” racchiudendo una “simultaneità di istanti”:
“[…] Qualsiasi immagine – al pari dell’immagine letta dalla retina – registra un’apparenza che scomparirà. La facoltà della vista si è sviluppata come risposta attiva a contingenze in perenne mutazione. Più si sviluppava, più complessa diventava la serie di apparenze che poteva costruire a partire dagli eventi. Il riconoscimento è parte essenziale di tale costruzione. E il riconoscimento dipende dal fenomeno della riapparizione, che a volte si manifesta nell’incessante flusso della sparizione. Di conseguenza, se le apparenze, in ogni momento, sono una costruzione che emerge dai detriti di tutto quel che è apparso in precedenza, è comprensibile che proprio tale costruzione possa far nascere l’idea che tutto sarà un giorno riconoscibile […]
I disegni mostrano più chiaramente il processo del loro farsi, del loro apparire. La funzione imitativa di un dipinto spesso opera come un travestimento: in altre parole, ciò di cui parla finisce per colpire più della ragione per cui ne parla. […]
Come fanno un disegno o un dipinto a racchiudere il tempo? […]
Disegnare è guardare, esaminare la struttura delle apparenze. Il disegno di un albero non mostra un albero, ma un albero che viene osservato. Mentre la visione dell’albero viene registrata quasi istantaneamente, l’esame della visione dell’albero (dell’albero nell’atto di esser osservato) oltre a richiedere minuti o ore invece di una frazione di secondo, implica, deriva da e rimanda a un’enorme esperienza precedente di osservazione. Nella visione istantanea di un albero si fonda l’esperienza di una vita. Ecco perché l’atto del disegnare rigetta il processo delle sparizioni e propone la simultaneità di una moltitudine di istanti.
[…] quel che in un disegno vi è di immutabile consiste di un numero tale di istanti assemblati che essi finiscono per costruire una totalità piuttosto che un frammento. L’immagine fissa del disegno o del dipinto è frutto dell’opposizione di due processi dinamici. Sparizioni cui si oppone l’assemblaggio. […]
La veduta di Delft dall’altra parte del canale di Vermeer ne dà conto meglio di qualsiasi spiegazione teorica […] questo attimo dipinto, così come noi lo osserviamo, ha una pienezza di realtà che solo di rado sperimentiamo nella vita. […] Ha a che fare con la densità dello sguardo di Vermeer per millimetro quadrato, con la densità per millimetro quadrato degli attimi assemblati […] “
A proposito della diagrammaticità ed estrema sintesi dei disegni dei grandi artisti, ogni volta che mi è capitato di poter ammirare in occasione di una mostra i disegni dei maestri del passato sono sempre stato colto da un’emozione forte perché da quei segni, da quei lavori molto spesso “non finiti” si sprigionava una magia fortissima, si manifestava chiaramente qualcosa di molto intimo e personale dell’artista che nelle pitture complesse sarebbe stato più mascherato, ed io mi trovavo senza rendermene conto rapito in una dimensione senza tempo nell’osservare con attenzione quei segni sicuri, rapidi, armoniosi o nervosi, tentando di rubare “qualcosa” all’artista ormai scomparso da secoli. Non so se questo possa capitare anche a voi …
Quante volte iniziamo ad osservare la realtà oppure l’immagine che abbiamo nella mente, interroghiamo il suo apparirci e tentiamo di dargli un senso sul foglio dapprima con primi segni timidi e con difficoltà, per aggiungere via via altri tratti cercando risposte in quello cui stiamo tentando di dare vita ma nel contempo ricevendo indietro qualcosa, forse come lo definisce Berger una sorta di “energia” dalla “apparenza della cosa che stiamo vagliando”:
“ La creazione di un’immagine comincia interrogando le apparenze e tracciando dei segni. Ogni artista scopre che il disegno – quando è un’attività necessaria- è un processo a doppio senso. Disegnare non è solo misurare e annotare, è anche ricevere. Nel momento in cui l’intensità dello sguardo raggiunge un certo grado, ci accorgiamo che un’energia altrettanto intensa viene verso di noi, attraverso l’apparenza della cosa che stiamo vagliando, qualunque essa sia. L’intera opera di Giacometti ne è la dimostrazione. […]
E’ un dialogo feroce e inarticolato. […] Le grandi immagini si manifestano quando i due tunnel si incontrano e si congiungono alla perfezione. […] Non do nessuna spiegazione a questa esperienza. Credo semplicemente che pochissimi artisti la negheranno. E’ un segreto professionale.”
Da una lettera al fratello artista James del 2004, di cui riporto alcuni passaggi, sono espressi dei concetti ricorrenti nella raccolta di scritti, in particolare la possibilità che il disegno in qualche modo fermi nel tempo quello che si voleva immortalare e che anche tutto quello che ci si è lasciati alle spalle come assenza sia invece sempre in qualche modo qui, presente anche se separato dal disegno:
“ […] Siamo d’accordo che il disegno è un’attività il cui scopo è riconoscere e forse conciliare un’apparente contraddizione: quella tra presenza e assenza […]
Disegnare è implicare quel che non ci sarà più quando in seguito guarderemo il disegno. Il disegno parla di una compagnia che, al di là del disegno o fuori da esso, diventerà molto in fretta, o alla fine, invisibile. Ecco perché i disegni, sebbene comprendano, o cerchino di comprendere, una presenza, riguardano l’assenza. Ma quel che assente dov’è? Distante e perso in lontananza? O qui, ma (separato dal disegno) invisibile? Credo in quest’ultima ipotesi.
A questo punto potesti domandarmi perché continuo a parlare di disegno, piuttosto che di pittura, scultura, video o installazioni.
Ti risponderei perché gli altri mezzi possiedono una materialità che il disegno non ha. E di conseguenza il disegno è un’espressione più pura di ciò di cui stiamo discutendo: dov’è adesso quel che abbiamo fisicamente visto e che è fisicamente scomparso?
A me pare che i disegni […] non piangano la distanza, ma rispondano con una sola parola: QUI. E questo non è arbitrario. Non ha niente a che fare con il concetto chiamato Disegno. Si riferisce alla struttura essenziale dello spirito umano, senza il quale non ci sarebbe nessun riconoscimento della distanza. I disegni offrono ospitalità all’invisibile compagnia che è al nostro fianco.”
Altro scambio epistolare tra John ed il fratello Yves Berger dove si ripetono alcune tematiche care all’autore:
“[John] L’atto del disegnare, proprio come il disegno, non riguarda il diventare, piuttosto che l’essere? Un disegno non è l’opposto di una fotografia? Quest’ultima ferma il tempo, lo arresta; mentre il disegno scorre insieme ad esso.”
“[yves] […] Disegnare è questo movimento avanti e indietro, dentro e fuori. Lasciarsi trasportare implica anche che dobbiamo adattarci al flusso: tuffarci al momento giusto, respirare al momento giusto, tuffarci di nuovo. […] “
“[John] […] (riferendo di una sua esperienza di insegnamento del disegno ai pazienti di un ospedale psichiatrico) […] E come dici tu, quando erano assenti, erano nel flusso. […[ Vivevano quasi interamente nel presente. E in quello che modellavano, dipingevano o disegnavano, non c’era passato o futuro. […] Una volta nel flusso, non potevano uscirne e guardarlo scorrere. Dunque non c’è alcun senso di durata. […] Come fanno i disegni a contenere il tempo? […] Non ha a che fare con il rapporto tra le linee e lo spazio che creano sul foglio? Non lo so. Che abbia a che vedere con il diventare di cui parli? Nei paesaggi di montagna tu “sei diventato” una poiana che vola sulle loro cime. Nella foresta sei diventato legno. Nel disegno di Melina sei diventato l’atto del suo guardare. […]”
“[yves] […] Un disegno lo si può spingere solo fino al suo grado estremo. Se qualcosa comincia ad apparire sul foglio ti chiede di liberarti di quel che è inutile e chiarire quel che è essenziale. Ma dopo un po’ diventa impossibile avvicinarsi di più a quel che il disegno chiede senza cambiarne la natura e dunque la sua stessa identità, che è esattamente quel che stai facendo! Possiamo usare la parola “finito” solo per dire che siamo arrivati il più possibile all’identità del disegno. […] Da qualche parte tra l’Essere della foresta e il mio Essere, lì sulla superficie bianca del foglio, c’era un punto d’incontro. Naturalmente non l’ho mai raggiunto. Ho solo provato, e proverò ancora, ad andare il più vicino possibile a quel che non sono. […]”
Altro passo interessante:
“ […] Tutta l’arte autentica si avvicina a qualcosa di eloquente che tuttavia sfugge alla nostra comprensione. Eloquente perché tocca qualcosa di fondamentale. Come facciamo a saperlo? Non lo sappiamo. Semplicemente lo riconosciamo.
L’arte non può essere usata per spiegare il misterioso. Però ci rende più facile avvertirlo. L’arte rivela il misterioso. E, una volta avvertito e rivelato, esso diviene più misterioso.
Ho il sospetto che scrivere di arte sia una presunzione, che porta a frasi come le precedenti. Quando le parole si applicano alle arti visive, le une e le altre perdono precisione. Impasse. […]”
Un altro capitolo interessante è quello che riguarda il sito preistorico denominato grotta di Chauvet (riscoperta per la prima volta dopo l’ultima era glaciale nel 1994) con le pitture rupestri più antiche che si conoscano al mondo (parliamo degli uomini di Cro-Magnon), quindicimila anni più antiche di quelle di Lascaux e Altamira e che l’autore ebbe modo di visitare. Vi riporto alcuni passaggi:
“[…] Per i nomadi le nozioni di passato e futuro sono subordinate all’esperienza dell’altrove. Ciò che è scomparso, o è atteso, si nasconde altrove, in un altro luogo. […] Per i Cro-Magnon lo spazio è un’arena metafisica di apparizioni e sparizioni intermittenti e ininterrotte. […] Queste pitture rupestri furono realizzate sul posto, perché potessero esistere nell’oscurità. Erano per l’oscurità. Furono nascoste nel buio perché ciò che esse incarnano sopravvisse a tutto ciò che è visibile, e promettessero, forse, sopravvivenza.
Le loro pitture somigliano a una mappa, dice Anne.
Di che cosa?
Di ospiti al buio.
Che si trovano dove?
Qui, venuti da altrove….”
Per concludere questa breve presentazione segnalo che alcuni dei primi capitoli sono dedicati a grandi artisti, tra cui Van Gogh, Picasso, Watteau, ove l’autore commenta alcuni particolari disegni di questi maestri.
Spero questo suggerimento di lettura vi possa essere utile e che sia stato apprezzato. Buona Arte a tutti,


